Tra salute mentale e detenzione chi soffre è sempre l’essere umano.
Attraversando i corridoi del Reparto di Osservazione Psichiatrica e del Reparto Infermeria della Casa Circondariale Borgo San Nicola di Lecce si sente solo il silenzio di un’Istituzione che lascia i propri operatori in balia di vuoti normativi, sovraccarico di lavoro e servizi territoriali assenti che parcheggiano e dimenticano le persone detenute in reparti in cui non dovrebbero stare.
Svariati e differenti sono stati i tentativi messi in atto dal Ministero della Giustizia e dal Ministero della Sanità per garantire a detenuti ed internati con patologia psichiatrica un’assistenza sanitaria personalizzata e continuativa.
Nella nostra città ha preso avvio nel 2017, in via sperimentale, il Reparto di Osservazione Psichiatrica, un polo ASL all’interno delle mura della Casa Circondariale di Lecce. A seguito della definitiva chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari avvenuta nel 2015, oltre all’istituzione delle R.E.M.S., si è reso necessario un potenziamento del ruolo delle Sezioni di Salute Mentale degli istituti penitenziari ora denominate Articolazioni per la Tutela della Salute Mentale (ATSM), i cosiddetti Reparti di Osservazione Psichiatrica (ROP), sezioni speciali penitenziarie previste dall’art.65 dell’Ordinamento Penitenziario e 111 Reg. Es. O.p..
Si tratta, nella formazione attuale, di sezioni dipendenti dal Distretto Asl competente per territorio e di diretta responsabilità di personale riconducibile all’area psichiatrica, destinate al trattamento sanitario di detenuti, condannati in via definitiva o in attesa di giudizio, i quali versino in una condizione di infermità o minorazione psichica, non compatibile con la detenzione in sezioni ordinarie. Nello specifico i R.O.P. sono destinati a quegli imputati o condannati che durante la detenzione sviluppino una patologia psichiatrica, a condannati a pena diminuita per vizio parziale di mente ( art.111 c.7 D.P.R n. 230/2000) ed a detenuti od internati, la cui condizione psichica debba essere posta sotto osservazione nelle apposite sezioni, dette “sezioni osservandi”, per una durata non superiore a 30 giorni (art.112 D.P.R n. 230/2000). La prevista temporaneità presso tali Reparti è contrastata dalla stessa legge che la regola per cui è stabilito che l’Autorità giudiziaria o il Magistrato di Sorveglianza possano prolungare la permanenza nel reparto, salvo poi il rientro nell’Istituto di provenienza.
E’ altresì sancito il rispetto del principio di territorialità, in base al quale dovrebbero essere inviati solo detenuti dalla Regione di residenza.
Nei fatti è tutto ben diverso. Nel R.O.P. di Lecce sono ospitate persone con patologie psichiatriche la cui permanenza si protrae oltre i 30 giorni previsti, per arrivare anche a superare sei mesi. Il principio di territorialità non viene sempre rispettato, pena la lontananza dagli affetti da parte di soggetti con un equilibrio psichico già molto precario. Ad oggi sono solo 10 le persone presenti a fronte dei 20 posti disponibili, ma il Reparto non ha accolto mai più di 15 pazienti dall’inizio della gestione. Innumerevoli le richieste di invio di detenuti da sottoporre ad osservazione psichiatrica, e a complicare ulteriormente la situazione c’è la carenza di personale; da ben cinque mesi all’interno del reparto vi è un solo medico psichiatra sui quattro previsti in organico. Una situazione precaria pronta ad esplodere improvvisamente. Una pazzia, è innegabile, lasciare un solo medico all’interno di un reparto così fragile e complesso. Il rischio di burnout è dietro l’angolo, laddove la pressione psicologica e la responsabilità di una struttura dipendano esclusivamente dalle decisioni di un singolo.
Rispondere adeguatamente alle continue richieste dei pazienti, ai colloqui con avvocati e familiari, prendere decisioni su progetti individualizzati e promuovere e sostenere relazioni interpersonali con i detenuti, diviene un macigno sulle spalle anche di chi ci mette tutta la propria passione e professionalità per sopperire alla mancanza di colleghi.
Un luogo in cui dovrebbe prevalere la funzione diagnostica e riabilitativa del soggetto con patologie psichiatriche, lascia il posto ad un luogo in cui, come accadeva negli O.P.G., sembra piuttosto predominare l’aspetto custodiale, a scapito dunque dell’osservazione e trattamento del soggetto psichiatrico. Le criticità risocontrate lasciano spazio al rischio che il carcere, limitandosi a contenere la malattia psichiatrica, assuma il ruolo di Istituzione di “scarico” di soggetti problematici, precedentemente svolta dagli scomparsi O.P.G., così spostando le problematiche senza realmente risolverle.
Di recente è stato indetto un bando di concorso per la selezione di medici psichiatri da inserire nell’organico del R.O.P. di Lecce, ma è andato tristemente deserto. Sicuramente non è facile entrare in relazione e lavorare in un contesto come questo, dove non bastano le competenze ma serve una sincera propensione verso l’altro nella comprensione della sua complessità emotivo/relazionale che si interseca con la patologia psichiatrica e lo stato detentivo. E’ pur vero che tali sezioni speciali debbano ricevere l’adeguato supporto di personale, non solo in base alla previsione in pianta organica, ma anche in base alla tipologia di pazienti psichiatrici accolti, i quali spesso, a causa dell’eterogeneità delle posizioni detentive e patologiche, richiedono un apporto maggiore di risorse umane specializzate. Manca, al momento, un lavoro di equipe, come assente è la formazione all’ingresso del personale medico che si troverà poi a contatto con soggetti con importanti patologie psichiatriche, e per di più in un contesto, quello penitenziario, fatto di regole ben precise da osservare.
Infine, 250 sono le persone detenute che attualmente, all’interno della Casa Circondariale di Lecce, assumono una terapia psichiatrica. Nel 2019 i detenuti in trattamento nell’Istituto leccese rappresentavano il 29% del totale della popolazione detenuta.
Nel reparto Infermeria di Borgo San Nicola, dove sono allocate anche persone detenute con disturbi psichiatrici, la situazione non è di certo migliore. Sono solo due i medici psichiatri a fronte dei 1054 detenuti. Il burnout anche qui è pronto ad entrare in scena.
Il disturbo di personalità è la diagnosi più diffusa all’interno del penitenziario e nei casi più attenzionati l’unica soluzione è il collocamento del soggetto in una comunità terapeutica esterna. Peccato per le liste d’attesa con tempi di inserimento molto lunghi che costringono il detenuto ad attendere in sezione finché non si liberi un posto. Molto spesso, l’unica risposta che il soggetto ha per questa attesa è quella di mettere in atto gesti auto-etero aggressivi, aggravando ulteriormente il proprio stato di salute.
Nel carcere di Lecce è stato fatto molto dal punto di vista del reinserimento, della proposta professionale e della promozione della cultura. Si può dire che è un angolo virtuoso di umanizzazione della pena ma tuttavia è circondato dal deserto; un territorio che non investe e valorizza le risorse umane che lì dentro si sono formate negli anni.
I servizi territoriali, che dovrebbero fungere da ponte, sono in realtà ponti tibetani fragili e ingolfati dove spesso si cela anche il pregiudizio verso il proprio utente.
Quale possibilità possiamo dare a chi sceglie di ripensare la propria vita e di imparare un mestiere se non c’è continuità tra il dentro e il fuori?
Come possiamo sperare in nuovi medici psichiatrici se il carcere ancora continua ad essere considerato un Non Luogo, l’ombra oscura della città che a tutti i costi deve essere celata, anziché diventare parte integrante della stessa?
Sharon Orlandi e Ilaria Piccinno – OSSERVATRICI SULLE CONDIZIONI DI DETENZIONE PER LA PUGLIA ASSOCIAZIONE ANTIGONE