Ai produttori riconosciuti prezzi medi inferiori a quelli del 2020, Carrabba: “Punto di non ritorno”.
Prezzi medi inferiori a quelli dello scorso anno, un aumento della bolletta energetica e dei complessivi costi di produzione fino al 50%: il settore dell’uva da tavola pugliese è sull’orlo di una crisi di sistema. Sotto accusa sono la GDO e gli importatori, con gravi responsabilità nel determinare uno stato di pesante sofferenza del sistema economico agricolo.
“Siamo di fronte a una situazione drammatica”, ha spiegato Raffaele Carrabba, presidente di CIA Agricoltori Italiani. “Energia elettrica, gasolio, materiali di confezionamento, il costo di ogni singolo elemento per azionare le filiere e produrre sta aumentando: tutto aumenta, tranne i prezzi riconosciuti agli agricoltori per le loro produzioni”.
Troppo gravosi anche i maggiori costi degli oneri sociali a tutela dei lavoratori che le imprese italiane pagano rispetto agli altri competitor europei. Cia agricoltori italiani della Puglia chiede un tavolo di confronto alla Regione con la grande distribuzione organizzata.
Dalla Capitanata alla Bat, dall’area metropolitana di Bari ai territori di Brindisi, Taranto e Lecce, le aziende agricole impegnate nella fase iniziale della campagna dell’uva da tavola lamentano disagi crescenti e grandi difficoltà economiche.
“L’uva in moltissimi casi sta avendo difficoltà a compiere l’ultimo stadio della maturazione, a causa del caldo in diverse aree si è in ritardo anche di 20 giorni rispetto ai tempi consueti”, ha aggiunto Vito Rubino, direttore di CIA Due Mari (Taranto-Brindisi). “C’è anche una criticità riguardo al grado brix, la percentuale di zucchero, che è basso sia per le uve bianche che per le rosse. La causa è l’eccessivo caldo che si è protratto per diversi mesi. Più in generale, nei confronti della GDO è il caso che sia interessato anche il Ministero delle Politiche Agricole”.
“La conferma delle difficoltà arriva anche per il territorio del Barese e della Bat in seguito ai primi riscontri a campione”, ha spiegato Giuseppe Creanza, direttore di CIA Levante.
“I prezzi riconosciuti ai produttori non coprono i costi di produzione”, ha aggiunto Nicola Cantatore, direttore di CIA Capitanata.
“Per non andare in perdita”, ha specificato Emanuela Longo, direttrice di CIA Salento, “i prezzi da riconoscere ai produttori dovrebbero aumentare almeno del 20% rispetto a quelli attuali”.
Sotto accusa, ancora una volta, sono la GDO (Grande Distribuzione Organizzata) e gli importatori.
“Occorre una svolta vera”, ha proseguito Raffaele Carrabba. “Siamo davvero vicinissimi a un punto di non ritorno che significa disinvestimento, la bandiera bianca issata da produttori impossibilitati a far fronte alle spese se non erodendo i propri risparmi o indebitandosi ulteriormente, aumentando pericolosamente la propria esposizione con le banche. Non c’è più redditività. Si rischia di chiudere, per essere chiari. Serve una presa di coscienza netta, lucida e in totale controtendenza rispetto al ‘sonno’ degli ultimi anni da parte della politica comunitaria e nazionale soprattutto. Le condizioni di disparità e di totale squilibrio tra chi produce i beni alimentari e chi li distribuisce ai consumatori sta uccidendo l’agricoltura. Da una parte, infatti, ci sono gli agricoltori per i quali aumenta tutto: costi di produzione, adempimenti, standard qualitativi di produzione, tasse; dall’altro, ci sono le multinazionali della GDO e dell’importazione, per i quali è lecito imporre valori al ribasso da riconoscere ai produttori e, di contro, prezzi altissimi ai consumatori. I loro profitti aumentano, mentre gli agricoltori e l’agricoltura si impoveriscono”, ha concluso Carrabba.