Il «Barocco Festival Leonardo Leo» prosegue il suo viaggio itinerante a Lecce, tra le novità della XXIV edizione. Uno strappo alla tradizione che allarga gli orizzonti della rassegna suggellando l’incontro tra la musica barocca della Scuola Napoletana e la città del Barocco. Tre appuntamenti che iniziano il prossimo fine settimana. Sabato 9 ottobre, alle ore 20.30, al Teatro Apollo, con il concerto «La Dirindina», a seguire domenica 10 ottobre, sempre alle 20.30, nel Convitto Palmieri, con lo spettacolo di teatro musicale «Chesta è la regola, Don Lionardo!».
Ingresso con prenotazione e ticket – euro 5 – T. 347 060 4118. L’accesso e la fruizione degli spettacoli saranno regolati secondo la vigente normativa in materia di contenimento del rischio Covid-19, in particolare riguardo all’uso della mascherina e al possesso del green pass.
Si comincia al Teatro Apollo sabato 9 ottobre, alle ore 20.30, con «La Dirindina», intermezzo comico scritto da Domenico Scarlatti per la stagione di Carnevale 1715 del Teatro Capranica di Roma e poi fermato dalla censura a causa delle “intemperanze del testo”. Protagonista il «Fanzago Baroque Ensemble» con Vincenzo Bianco primo violino, accompagnato dalle voci di Raffaella Ambrosino (Dirindina – mezzosoprano), Carmine Monaco (Don Carissimo – baritono/basso) e Enrico Vicinanza (Liscione – controtenore).
La “farsetta per musica” è una delle prime prove di quel genere buffo che presto trionferà sulle scene di tutta Europa. L’agile e spiritosa vicenda di Dirindina – cantante in erba dal mix esplosivo di ingenuità e malizia, contesa tra il fatuo castrato Liscione che la vorrebbe portare con sé a fare fortuna a Milano e il buon vecchio maestro di canto Don Carissimo che tenta di proteggere l’intraprendente ragazza dalla sua sventatezza – permette a Scarlatti di trovare un’invenzione musicale mobilissima, che non esprime astratte passioni ma aderisce in presa diretta all’azione, segue i personaggi sulla scena, ne suggerisce i gesti. Ma l’intermezzo, che avrebbe dovuto inserirsi nell’«Amleto» di Apostolo Zeno, sempre con musiche di Domenico Scarlatti, non fu mai messo in scena per l’intervento della censura ecclesiastica, mossa dalle proteste dei cantanti. Pomo della discordia le situazioni, le parole, i personaggi, opera del senese Girolamo Gigli, commediografo e “linguaiolo” sovversivo, non nuovo a episodi di censura: il «Don Pilone», rifacimento del «Tartufo» di Molière, gli costò la cattedra universitaria. I suoi personaggi si esprimevano spesso in modo disinvolto e frizzante, oggi diremmo politicamente non corretto, originando una serie di gag e di scenette: negli intermezzi, infatti, non c’era una vera e propria trama. La musica di Scarlatti è spigliata e fluente, dalle forme in miniatura: quattro arie, brevi e fulminanti, due terzetti. Prima di trasferirsi a Lisbona e diventare il grande, fantasioso compositore di sonate per clavicembalo, Scarlatti era attivo in qualità di operista soprattutto per la regina di Polonia, che nel Palazzo Zuccari di Roma, dove risiedeva, aveva fatto costruire un piccolo teatro.
Domenica 10 ottobre, alle 20.30, la scena si sposta nel Convitto Palmieri, dove è atteso lo spettacolo «Chesta è la regola, Don Lionardo!», con Luigi D’Elia, anche autore della drammaturgia originale, e l’orchestra barocca «La Confraternita de’ Musici», diretta al cembalo dal M.O Cosimo Prontera, direttore artistico del Festival. La musica dell’ensemble sarà affiancata dalle voci di Valeria La Grotta (soprano), Agata Bienkowska (mezzosoprano) e Giuseppe Naviglio (basso).
Lo spettacolo rifà il cammino biografico di Don Lionardo, come veniva indicato amorevolmente Leonardo Leo, uno dei più importanti musicisti del Settecento, nato nel 1694 a San Vito dei Normanni e morto cinquanta anni più tardi a Napoli, esponente fra i massimi della cosiddetta “Scuola musicale napoletana” capace di influenzare soprattutto l’insegnamento della musica in Europa. Il ragazzo di provincia aveva appena 15 anni quando intraprese l’avventura musicale a Napoli. Con sacrificio ma anche con intraprendenza riuscì a orientare il suo destino: da umile ragazzino di provincia a Maestro di Maestri, a star del Settecento, a indiscusso riferimento in una delle capitali europee della musica. Con la voce di Luigi D’Elia il musicista si racconta, racconta i successi, la fama, le opere, il prestigio conquistato alla corte dei vicerè. E lo fa come farebbe un giovane di oggi, una storia che Luigi D’Elia ha scritto adattando per il teatro una ricerca monografica condotta da Cosimo Prontera che supera quasi tre secoli per incrociare le parole del nostro tempo.