Quest’anno, nella sua venticinquesima edizione, il Festival del Cinema Europeo ha dedicato un particolare tributo a uno dei Protagonisti assoluti del Cinema Europeo, Ken Loach, il cineasta che più di ogni altri in Europa ha portato sul grande schermo le istanze e le vite della classe operaia, in una lotta cinematografica in opposizione al capitalismo più sfrenato del dopoguerra.
Impossibilitato ad essere a Lecce per la consegna dell’Ulivo d’Oro alla carriera, il regista si è reso però disponibile ad un doppio appuntamento in collegamento dal Regno Unito. Al mattino di mercoledì 13 novembre, nella quinta giornata della manifestazione, si è tenuto un incontro stampa al cui centro c’è stato un dibattito tra l’attivista e militante politica, scrittrice e giornalista Luciana Castellina, colonna portante dell’antifascismo italiano (che venerdì 15 presenterà due suoi libri presso la libreria Liberrima), il critico Massimo Causo, il direttore Alberto La Monica e la traduttrice che ha reso più agevole la conversazione, Lara Maroccini.
Dalle criticità della classe operaia nei decenni alla sua opinione personale sui conflitti in corso, il cineasta ha risposto ai quesiti ripercorrendo il suo percorso cinematografico e la sua militanza civile a partire da un ringraziamento doveroso: «E’ un privilegio rincontrare Luciana che è un punto di riferimento in Italia e per noi tutti. Ci tengo a ringraziarla per il suo impegno e la sua costante ispirazione nei confronti delle generazioni future».
Ma molto ha detto anche sulla classe operaia e sulla lotta negli anni ’60: «C’è una cosa che ho imparato nella politica negli anni ’60, periodo della nuova sinistra, e c’era uno slogan che ci portavamo dietro quando marciavamo: né con Washington, né con Mosca. C’era un’opposizione veemente al capitalismo. L’essenza era la dicotomia tra la classe operaia e la classe dirigente e ne derivava un conflitto d’interessi. L’idea era quella di continuare a marciare finché anche la classe operaia fosse diventata attiva. Bisognava però essere consapevoli che questo approccio era il nostro punto di forza e organizzarsi in tal senso».
Poi la conversazione si è spostata sull’attualità del cinema a partire da un’osservazione della Castellina sulla bontà di questi nuovi autori italiani, registi e sceneggiatori che portano sullo schermo la vita vera. «Il cinema del reale è l’espressione più bella del cinema perché non c’è cosa più affascinante e commovente della condivisione dell’umanità e di quanto tutti noi siamo accomunati da ciò che di questa umanità noi celebriamo. Il cinema lo deve rappresentare. Ciò che il cinema fa a livello commerciale non tocca la comunanza dell’umanità. Non c’è altro strumento che il cinema a rappresentare al meglio la nostra umanità.
Sono sempre stato influenzato nel mio lavoro dai film dei registi neorealisti italiani, i film di De Sica in particolare ma tutti i cineasti del dopoguerra. Film che trattavano il tema della classe operaia che dimostravano che andava bene parlarne; anche il cinema dell’est europa, in particolare quello ceco, è stato fonte di ispirazione, negli anni ’60. Era un cinema dell’osservazione, che cercava di trasformare la macchina da presa in un osservatore empatico che guarda nell’angolo di una stanza ed è coinvolto e così fa con gli spettatori. Allo spettatore importa cosa appare e può comprendere cosa può succedere alle persone nel film, cosi si arriva alla comprensione di parti più profonde, delle esperienze e delle lotte. L’umanità di cui parlavo prima. Se il film funziona, ci tocca nel profondo perché è la realtà che ci tocca nel profondo. Il cinema dell’osservazione è quello con cui provo a fare i miei film».
Dopo un incontro così denso di contenuti e significati, la sera, prima della proiezione del suo ultimo lavoro The Old Oak, anche il pubblico in sala ha potuto assistere allo scambio tra questi due colossi che, ognuno nel suo campo di riferimento, hanno saputo dare uno sguardo nuovo e critico nonché di ispirazione sull’attualità.