La cartapesta leccese cultura radicata, narrazione innovativa: l’equilibrio tra tradizione e modernità è il tema del convegno che si terrà a Novoli sabato 11 gennaio 2025 a partire dalle ore 19 con ingresso libero nella Chiesa del Convento dei padri Passionisti (via San Paolo, 28).
Il convegno, che avrà carattere itinerante, sarà introdotto da Antonio Manzo operatore culturale e guida turistica nonché nipote dell’artista Giuseppe Manzo che legò il suo nome all’antica arte della cartapesta universalmente riconosciuta anche all’estero per talento e tecnica e per una vastissima produzione di Santi, Cristi e Madonne entrate a far parte di collezioni pubbliche e private in tante parti del mondo.
Un patrimonio artistico straordinario che impreziosisce molte chiese del Salento a cominciare proprio dalla sede del convegno, il Convento dei Padri Passionisti, che conserva un significativo numero di sculture.
Dopo i saluti istituzionali del sindaco di Novoli Marco de Luca, dell’assessore alla Cultura Francesca Ingrosso e del direttore artistico Alessandro Maria Polito che ha voluto inserire l’incontro nel programma degli eventi della “Focara 2025” si alterneranno gli interventi di Padre Maurizio Cino superiore del Convento dei Padri passionisti, del professore Salvatore Pietro Polito, di Antonio Papa Maestro dell’arte della cartapesta e di Claudia Schmidt restauratrice, coordinati dalla giornalista Antonietta Fulvio. Saranno presenti, inoltre, priori e rappresentanti di alcune confraternite della terra di Bari e salentine, oltreché la presenza di artisti e personaggi addentro all’arte della Cartapesta.
Nato a Lecce nel 1849, Giuseppe Manzo fu soprannominato il Michelangelo della cartapesta, per il verismo e la perfezione delle sue sculture, pale per altari e altorilievi. Solo per restare in Puglia si annoverano un bellissimo altorilievo nel Duomo di Lecce, la Madonna del Rosario di Pompei nel Santuario di Santa Maria del Canneto a Gallipoli, l’Annunciazione nel santuario S. Maria de finibus terra, il San Giuseppe Patriarca nella Chiesa di San Nicola a Corigliano d’Otranto, il Sacro Cuore di Gesù e un altorilievo della Vergine con il Bambino nella Cappella del Santissimo a Cavallino, la statua della Madonna del Carmine nella Chiesa di San Vito a Surbo, il San Giuseppe nel Santuario S. Maria della Lizza ad Alezio, la Madonna dei Fiori nella Chiesa della Santissima Trinità Manduria, nella Chiesa della Beata Vergine a Casarano, a Melissano, Matino, Parabita, Tuglie, Putignano san Pietro Vernotico, Ostuni, Fasano, San Vito dei Normanni, Francavilla Fontana…
Il suo laboratorio ricevette dal Re Umberto I il fregio dell’insegna regia come ricorda la targa apposta qualche anno fa in via Paladini, e durante la sua vita furono davvero tanti i riconoscimenti ricevuti per le sue meravigliose creazioni in cartapesta. Il papa Pio X gli conferì la Croce di Cavaliere dell’Ordine Piano e l’Accademia di Parigi lo nominò socio benemerito e gli attribuì la Medaglia d’Oro. Nel 1899 fu premiato con la medaglia d’oro all’Esposizione Campionaria di Roma e all’Esposizione Industriale e Commerciale di Poitiers e l’anno seguente alle esposizioni internazionali di Londra, Parigi e Bruxelles: questo a testimonianza, se mai ce ne fosse stato bisogno, della sua Arte universalmente riconosciuta dalle più prestigiose istituzioni dell’epoca. Lo attestano d’altronde anche i numerosi diplomi e corsi di merito attribuiti all’artista che mai adoperò per la sua opere in cartapesta i giornali perché come asseriva “ i santi non si vestono di notizie”. Le sue statue si distinguono per la purezza del modellato, l’armonie delle linee di figure dai lineamenti mai esagerati ma che esprimono con semplicità l’essenza della religiosità. Si racconta che quando doveva delineare i volti dei suoi “santi” Giuseppe Manzo si appartasse entrando quasi in estasi e questo non perché fosse geloso della sua arte ma semplicemente perché sentiva l’esigenza di entrare in contatto con lo spirito del simulacro da rappresentare. Nella sua bottega, che contò fino a quindici unità nel periodo più fiorente, non si lavorò mai in serie ma con le più pure tecniche come aveva appreso dai suoi maestri dapprima Luigi Guerra, Achille Castellucci e Anselmo de Simone poi Achille De Lucrezi, dove presso la sua bottega iniziò a lavorare insieme a Andrea De Pascalis con il quale nel 1888 aprì un laboratorio sotto il Palazzo Romano, in via Paladini. Cinque anni più tardi il De Pascalis si mise in proprio e Manzo continuò da solo la sua attività. Il resto è storia, trasmessa al figlio Antonio che però, pur non raggiungendo la qualità tecnica del padre, fu costretto per l’imperante crisi del settore a chiudere il laboratorio nel 1959. I tempi erano cambiati, la carenza di committenti da un lato e dall’altro la mancanza di una trasmissione generazionale di un’arte destinata ad impoverirsi anche per la contaminazione e l’impoverimento dettato dalla produzione seriale di manufatti un tempo autentiche e concrete prove d’autore.